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Indiani d'America: facciamo chiarezza


A distanza di più di 150 anni dalle ultime Guerre Indiane in America e dalla distruzione programmata della loro Cultura, la storia dei nativi Americani ancora appassiona le platee ed è argomento di libri e film di nuova generazione. Al ricordo di ciò che è stato fatto a queste orgogliose popolazioni del Nord America ci si indigna e si piange e devo riconoscere forse in misura maggiore rispetto alla tragedia di altre grandi civiltà del passato, come gli Incas o ancora di popoli inermi attualmente in estinzione, come gli Indios dell’ Amazzonia.

Perchè? Cosa affascina e turba le menti di noi tutti al pensiero di questi popoli selvaggi e bellicosi che preferirono morire piuttosto che integrarsi nella nostra società? Sarà il loro anelito alla Libertà a scavare nelle nostre menti o magari la cultura dell’Uomo e Natura che nella loro storia ha giocato un ruolo di primaria importanza?

Qualunque sia la ragione essi sono ancora qui con noi, presenza palpabile e concreta che raccoglie sempre più curiosi e appassionati. La loro epopea è stata commercializzata e spesso asservita ad interessi che non hanno nulla a che vedere con la loro cultura: oggi anche l’industria discografica si è accorta di loro, giungendo a creare dei “veri falsi d’autore” che spopolano in internet, coniando musiche e canzoni molto diverse da ciò che era la loro Tradizione.

In questi articoli proverò a tirare le somme: non saranno “opera di saggistica” ma semplice “introduzione” alla loro storia, affinchè crollino molti luoghi comuni e si faccia chiarezza su una tragedia che ancora accusa l’America.

Si è abbastanza sicuri che i primi uomini che si stabilirono nel continente Americano venivano dall’Asia ed erano di origine Mongola. Si parla di c.a. 90.000 anni fa, quando i due grandi continenti erano uniti e non esisteva ancora lo stretto di Bering ma una vera e propria terra di passaggio, denominata Beringia. Si trattava di una tundra di circa 1600 km dove la selvaggina abbondava, soprattutto nel periodo in cui i ghiacci si scioglievano facendo emergere terre fertili e ricche. E’ quindi probabile che i primi insediamenti di uomini siano avvenuti in Alaska e a vari scaglioni, con intervalli anche lunghi centinaia di anni. Le migrazioni li portarono a est verso le grandi Pianure, a ovest verso le Montagne Rocciose e a sud in quella zona poi chiamata Terra del Fuoco . Le ultime avvennero intorno al 1000 A.C. e poi smisero, in seguito alla scomparsa della Beringia che era sprofondata tra le acque.

Come tutti i Paleolitici anche queste popolazioni vivevano di caccia, erano nomadi e abitavano in caverne. Possiamo stabilire il loro passaggio e i periodi di permanenza grazie ai numerosi graffiti che ci parlano di un mondo scomparso, dove abbondavano le tigri dai denti a sciabola e i mammuth ma anche animali impensabili, come armadilli e castori giganti, tapiri dal muso curvo e – pensate! – cammelli, oltre ai famosi bisonti.

Non erano armati: le loro tecniche di caccia erano rudimentali e probabilmente essi si servivano di pietre, bastoni e..le mani nude. Le prime tracce di frecce e di punte sono datate 25.000 A.C. ed è anche abbastanza sicuro che esse rappresentino una “tecnologia” del Nuovo Mondo, visto che non se ne trovano sul loro passaggio. I primi Indiani Asiatici, quindi, utilizzavano lo “scontro diretto” con l’animale, agendo in gruppi ed accerchiandolo.

Stabilitisi in America, poi, inventarono quelle tecniche che ben conosciamo di rincorrere e spingere le mandrie verso burroni e paludi, al fine di catturarle senza colpo ferire. La cultura “pacifica” della caccia, lasciando che fosse il destino e non l’individuo a scegliere le eventuali vittime, era già cominciata; essa va di pari passo con la nascita di una religione che “rispetta” la natura e le sue creature e che caratterizzerà tutta la loro storia successiva. Essa nasce dalla consapevolezza che la sopravvivenza dell’intero popolo dipende dalla vita degli animali catturati; va quindi stabilito con essi un rapporto di ”onore e gratitudine” ben diverso da quello che troveremo nelle civiltà occidentali e che sarà uno dei pilastri fondamentali su cui si baseranno, migliaia di anni dopo, le guerre Indiane e il rifiuto collettivo all’integrazione.

Il Nativo Americano di questo periodo è ancora nomade ma ama anche i lunghi insediamenti: in genere egli si muove seguendo i cicli naturali. Se la selvaggina abbonda, gli alberi danno frutti e i torrenti sono ricchi di pesci egli nn emigra ma mette le sue radici. Il nomadismo è una necessità. Non coltivando la terra l’Indiano dipende dalla fertilità del luogo; se esso si inaridisce o se le condizioni climatiche lo impongono interi villaggi sono costretti a spostarsi, spesso invadendo territori altrui seguendo le tracce dei bisonti che, dopo l’ultima glaciazione, che in pratica “sterminò” la maggior parte dei grandi mammiferi, rimasero l’unica grande fonte di carne. La caccia, infatti, per i Nativi Americani non è mai stata un fenomeno individuale bensì ” collettivo”.

I cacciatori andavano in avanscoperta e combattevano in prima linea ma, una volta avvistato il branco, si cacciava tutti insieme, donne e bambini compresi. Un atteggiamento che, ancora una volta, affondava le radici nel loro sentimento religioso e che non era esclusivamente “funzionale”. Il villaggio era una sola Anima l’individualismo non era concepibile. Come il corpo per funzionare ha bisogno di tutti i suoi componenti, dal più grande al più piccolo, così la tribù vive per merito di tutti i suoi membri e nessuno può esimersi. I doveri erano rigidamente pianificati ed elencati; nel momento del bisogno tutti potevano quindi ovviare alle necessità primarie e il villaggio diveniva una mirabile organizzazione in grado di autogestirsi.

Quando i bianchi arrivarono in America rimasero affascinati dalla capacità di questi “popoli rozzi e ignoranti” di attivarsi all’unisono senza che nessuno desse ordini. Una capacità che permise agli Indiani di sopravvivere, smantellando interi villaggi e nascondendo le proprie tracce in meno di 6 ore, ai numerosi attacchi dell’Esercito Americano. Una virtù che concesse loro di combattere per più di 4 secoli contro i bianchi invasori. Se gli Europei alla fine “vinsero” fu perchè adottarono strategie infami e sotterranee a cui gli Indiani non erano abituati, rendendoli prima schiavi dell’alcool e infine ingannandoli con promesse mai mantenute. I primi Capi Indiani che aprirono la strada all’uomo bianco lo fecero per il bene del proprio popolo, sulla base di accordi verbali che per un Nativo avevano lo stesso valore di un contratto scritto. Leali ed indomiti questi popoli non erano usi all’inganno e sia le guerre che le inevitabili razzie tra le varie tribù erano condotte secondo regole fisse di attacco, assedio e scontro su base diretta. Il famoso sotterramento dell’ascia di guerra e la pace sigillata fumando il Calumet non erano meri rituali ma la vera essenza delle loro pratiche giunte trasparenti fino a noi. L’Indiano, per mentalità, aveva stima del nemico forte e coraggioso e, se vinto, si adattava con serenità al destino di schiavo poichè ne accettava la superiorità. Ciò che non avvenne mai con gli Europei invasori a causa delle loro “lingue biforcute” e alle vittorie strappate con il tradimento e l’introduzione di pratiche malsane, come l’alcool e le droghe, atte a indebolire la resistenza fisica dei Nativi Americani. Non solo: sul finire dell’800, quando l’eccidio degli Indiani era già stato deciso e programmato dal Governo degli Stati Uniti, si giunse a infettare “volutamente” i prigionieri con esposizione o inoculazione di germi letali per poi rimandarli malati alle loro tribù, affinchè diffondessero il contagio. Pratica condotta in special modo sui bambini.

Risultò quindi impossibile per gli Indiani sopravvissuti integrarsi con il proprio carnefice, divenuto per tutti oggetto di disprezzo e di rabbia.

Privati della loro cultura, delle tradizioni ataviche e defraudati perfino della propria religione non rimase loro altro che la Morte….

( continua)

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